Ursa Major
| Nome | Orsa Maggiore |
| Genitivo | Uma |
| Abbreviazione | Uma |
| Estensione (gradi^2) | 1280 |
| Emisfero | BOREALIS |
| Confini |
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| Stagionalità |
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| Eventi: |
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| Altezza: | 49,178° |
| Azimut: | 310,034° (NO) |
Il nome, la storia, il mito
Il nome, la storia, il mito
La costellazione dell'Orsa Maggiore occupa una posizione unica nella storia umana. Riconoscibile con facilità, il suo asterismo principale, il Grande Carro, è stato interpretato in modi diversi da innumerevoli culture, sebbene il suo nome latino ufficiale, Ursa Major, traduzione del greco Arktos Megale, ne abbia fissato l'identità principale.
Notte stellata sul Rodano. V. van Gogh, 1888
Etimologia e le molteplici identità dell'asterismo
La denominazione formale "Orsa Maggiore" (o in genitivo Ursae Majoris) non è l'unica identità di questo raggruppamento stellare. L'asterismo, formato dalle sette stelle più brillanti, è quasi universalmente noto.
Gli antichi Romani, ad esempio, lo chiamavano i Septem Triones, ovvero i "Sette Buoi Aratori", un nome nato dall'osservazione del loro apparente movimento rotatorio intorno al Polo Nord, che ricordava l'aratura di un campo. Questo appellativo ha avuto un impatto duraturo sulla lingua e sulla navigazione, poiché da esso deriva direttamente il termine "settentrione", ancora oggi utilizzato per indicare il Nord. Anche il termine "Artico" deriverebbe dalla parola greca per "orso", arktos.
Le interpretazioni della forma del Grande Carro sono innumerevoli e percorrono la storia di molte civiltà. A partire dai Babilonesi, l'oggetto rappresentato era un semplice "carro lungo".
A livello globale, la sua forma distintiva ha ispirato interpretazioni funzionali e mitologiche diverse:
- Medio Oriente: Gli Arabi vedevano le quattro stelle del Carro come "la bara", mentre le tre del timone erano il corteo funebre. Nelle leggende del Golfo Persico, era conosciuta come Al- Naash ("lettiga mortuaria") al cui seguito i figli, tra cui Mizar e il bambino (Alcor), giuravano vendetta all'assassino (Al Jadi, la Stella Polare). I primi Arabi pre-islamici riconoscevano anche la figura più ampia dell'orso.
- Antichità e Testi Sacri: Il gruppo di stelle è citato già nel Libro di Giobbe come Mez'-a-rim, che significa "il Nord". La Bibbia cita l'asterismo chiamandolo le sette stelle.
- Europa Medievale e Nordica: Per i Gallesi e i Sassoni nel Medioevo, si trattava del carro di Re Artù, per i Vichinghi, del carro di Odino, mentre nelle popolazioni germaniche era il carro del dio Thor. I Celti e i Galli rappresentarono questo asterismo sulle loro monete come un cinghiale.
- Asia Orientale: Per i giapponesi era sensha kotei ("il cocchio dell'Imperatore"); per i Cinesi, le sette stelle rappresentavano il Governo, i sette governanti astronomici e i guardiani dei sette accessi del cielo, sebbene i contadini le chiamassero Bei Dou o Pé Teou ("il carro agricolo").
- Contesto Rurale: Gli Ebrei vedevano nel raggruppamento uno strumento agricolo, il ventilabro, mentre i Cinesi una pentola.
- Inglesi e Americani: Nel Regno Unito, è chiamato The Plough (L'Aratro); negli Stati Uniti e in Canada, è il Big Dipper (il Grande Mestolo) .
- Tentativi di Riforma: Nel Settecento, la Chiesa tentò una riforma per cristianizzare le costellazioni, proponendo per l'Orsa Maggiore il nome di "barca di Pietro". Le sette stelle furono anche denominate Arabo-Cristiane Naash Nazaar ("la lettiga di Lazzaro"), seguito da Marta, Maria e Maddalena piangenti.
Questa universalità del riconoscimento dimostra l'importanza cruciale dell'asterismo come riferimento celeste per la navigazione e la misurazione del tempo.
È particolarmente notabile come il nome "Orsa" sia sopravvissuto per millenni, anche se la figura di un orso è meno intuitivamente riconoscibile rispetto a un carro o a un mestolo. La persistenza di questa denominazione (presente anche in tradizioni non greco-romane come quella Irochese o Araba pre-islamica) suggerisce che l'identificazione con l'orso sia un elemento culturale estremamente arcaico. Questo indica che la costellazione potrebbe agire come un archivio di "memoria culturale profonda," forse risalente a configurazioni stellari percepite diversamente in epoche remote a causa del moto proprio o a miti condivisi da civiltà distanti.
Il mito greco-romano: Callisto e la dinastia celeste
Il mito greco-centrale che spiega l'origine celeste dell'Orsa Maggiore è un dramma di potere, gelosia e metamorfosi. La storia narra di Callisto, una ninfa seguace di Artemide (Diana), dea della caccia e della verginità, e figlia di Licaone, re di Arcadia.
La tragedia si innesca quando Zeus (Giove), il capo degli dei, si invaghisce di Callisto, arrivando a sedurla dopo aver assunto le sembianze di Diana stessa. Dalla loro unione nasce un figlio, Arcas (Arcade). In punizione per la castità perduta, Artemide allontanò la ninfa. Quando Era (Giunone), la gelosissima moglie di Zeus, scoprì l'infedeltà del marito, la sua ira si riversò su Callisto, considerata l'incolpevole amante. La punizione fu la metamorfosi: Era la trasformò in una triste orsa.
Il dramma raggiunse il suo culmine quando Arcas, divenuto adulto e cacciatore esperto, si imbatté nell'orsa (sua madre) e stava per ucciderla durante una battuta di caccia: passati quindici anni, l'orsa-Callisto, desiderosa di rivedere il figlio, fuggì nella foresta.
Arcade si prepara a trafiggere sua madre Callisto sotto forma di Orsa. Sullo sfondo, Arcade viene sollevato in cielo da Zeus. Rijksmuseum, Amsterdam. Fonte: Wikimedia Commons
Per evitare l'orrendo matricidio, Zeus intervenne all'ultimo momento, alzando un forte vento che deviò la freccia e trasportò entrambi in cielo, ponendo Callisto come l'Orsa Maggiore. Successivamente, trasformò Arcas nel vicino Artofilace (Boote), il Guardiano dell'Orsa, o, in altre versioni, nell'Orsa Minore.
A causa di questo ennesimo affronto, Era, fuori di sé dalla rabbia, chiese ai regnanti del mare, Oceano e Teti, che all'Orsa fosse per l'eternità impedito di toccare le acque marine. In effetti, a causa del moto di precessione degli equinozi, in epoche antiche la costellazione era circumpolare anche alle latitudini della Grecia, ma attualmente non lo è più per l'osservatore greco (sebbene lo sia per l'osservatore italiano). Un'altra variante del mito narra che Era, dopo la trasformazione, sguinzagliò i Cani da Caccia (costellazione posta sotto la coda dell'Orsa Maggiore) per inseguirla senza tregua, un movimento che simboleggia il moto perpetuo delle due costellazioni attorno al Polo Nord.
Interpreti moderni della mitologia hanno analizzato questa storia, riconoscendovi una potente chiave di lettura per temi sociali contemporanei, in particolare quelli legati alla violenza e al patriarcato. La narrazione evidenzia l'ingiustizia subita da Callisto, punita non solo per la violenza subita da Zeus, ma anche per l'intransigenza di Artemide/Diana, che, essendo una dea vergine, non poteva ammettere una donna considerata "impura" nel suo seguito, dimostrando che l'innocenza non è sempre accompagnata dalla carità divina.
La versione di Elice e Cinosura
Un mito greco alternativo narra come Crono (Saturno) inghiottisse i figli di Rea. Per salvare Zeus, Rea lo diede alla luce in segreto. Zeus fu quindi nascosto e allevato dalle ninfe Elice e Cinosura. In segno di riconoscenza per averlo nutrito, il capo degli dei pose le sue nutrici in cielo: Elice fu trasformata nell'Orsa Maggiore, e Cinosura nell'Orsa Minore.
Mitologie nelle culture del mondo
La forma distintiva dell'Orsa Maggiore ha ispirato narrazioni ricche e complesse in tutto il mondo:
Nativi Americani (Irochesi): Gli Irochesi vedono nelle quattro stelle del rettangolo (Merak, Dubhe, Phecda e Megrez) un grande orso in fuga da tre coraggiosi cacciatori (le stelle del timone: Alkaid, Mizar e Alioth) che lo inseguono. La leggenda segue il ciclo stagionale: l'arciere (Alioth) ferisce l'orso a fine estate, e il sangue caduto tinge le foglie degli alberi di rosso, annunciando l'autunno. Dopo l'inverno, la ferita dell'orso si rimargina e la caccia riprende in primavera. In questa visione, Mizar recherebbe la pentola (Alcor) e Alkaid la legna per il fuoco.
Nativi Americani (Navahos): Per i Navahos, l'Orsa Maggiore rappresentava il "freddo uomo del Nord", il Primo Uomo, che con la Prima Donna (Cassiopea) si scaldava attorno a un focolare, rappresentato dalla Stella Polare. Una variante popolare vede le quattro stelle del Carro come la testa decapitata di un orso sacro, inseguita dal resto del corpo (il timone), in un inseguimento che se si ricongiungerà segnerà la fine dei tempi.
Nativi Americani (Shoshoni): La popolazione Shoshoni (Wyoming) tramandava la leggenda di un orso grizzly salito su un'alta montagna innevata per andare a caccia nel cielo. Mentre attraversava la volta celeste, il ghiaccio e la neve attaccati al pelo delle sue zampe si staccarono poco a poco, dando origine alla Via Lattea.
Etnia Ainu (Giappone): L'etnia Ainu della penisola di Hokkaido compiva antichi rituali sacrificali in onore di Kim-Un-Kamui, il dio dei monti. La vittima, un orso, veniva uccisa per liberare la sua anima, che sarebbe tornata in cielo come messaggera delle preghiere, ricongiungendosi al grande spirito.
Antico Egitto: Per gli Egizi, le sette stelle erano l'effige del dio Seth, che si stagliava in cielo per essere sempre venerato, o l'ippopotamo, animale sacro a Horus.
Popolo Azteco: Più a Sud, le stelle dell'Orsa Maggiore erano associate al dio protettore dei guerrieri e custode del cielo notturno, Tezcaltlipioca. Egli era mutilo di un piede, divoratogli da un mostro celeste, poiché osservata alle latitudini del Messico, la costellazione, nel suo moto attorno alla Polare, perde l'ultima stella, che scompare oltre l'orizzonte.
L'Orsa Maggiore nell'arte e nell'iconografia
Il mito di Callisto è stato un soggetto popolare, utilizzato dagli artisti come veicolo per esplorare temi complessi come la metamorfosi, il giudizio morale e il nudo artistico.
Un esempio emblematico è il dipinto intitolato Storia di Callisto (noto anche come Trasformazione di Siringa), un olio su tela eseguito da Dosso Dossi con la collaborazione di Battista Dossi intorno al 1529-1530 circa, e conservato presso la Galleria Borghese di Roma. Il soggetto principale raffigurato è lo "svelamento di Callisto" . La scena mostra Diana, Callisto (i cui attributi includono il velo e, significativamente, il ventre rigonfio che rivela la gravidanza) e una vecchia, il tutto ambientato in un paesaggio boschivo.
Storia di Callisto (o Trasformazione di Siringa), di Dosso Dossi. Galleria Borghese, Roma
L'analisi approfondita di questo dipinto, in particolare tramite indagini radiografiche, rivela che l'opera è stata oggetto di significative modifiche compositive, originariamente più complessa con Diana più imponente e la presenza di uno spicchio di Luna in riferimento iconografico alla dea (oggi non più visibile). Queste modifiche non erano solo estetiche, ma funzionali a raggiungere un equilibrio compositivo e morale meno scontato, concentrando il movimento dinamico del giudizio a destra e bilanciandolo con la profondità serena del paesaggio a sinistra. Nonostante il titolo prevalente, l'identificazione esatta del soggetto è dibattuta, suggerendo che per gli artisti rinascimentali, la storia di Callisto fosse meno una semplice illustrazione del mito e più un'opportunità per esplorare il momento della rivelazione e del giudizio, permettendo all'arte di indagare concetti universali come la Natura, la Filosofia o la Virtù, al di là del racconto letterale.
In un contesto più strettamente astronomico, l'iconografia dell'Orsa fu fissata da figure come l'astronomo polacco Johannes Hevelius che, nel 1690, rappresentò nelle sue tavole uranografiche l'immagine triste dell'orsa in cui Callisto era stata tramutata, contribuendo a cementare l'immagine della costellazione nell'epoca moderna . Oltre a queste rappresentazioni classiche, il mito ha continuato a influenzare l'arte applicata: un rilievo in bronzo di Mario Sartori raffigurante l'Orsa Maggiore fu realizzato per la turbonave Raffaello, un richiamo al ruolo perenne della costellazione come guida notturna per la navigazione.
L'Orsa Maggiore è spesso citata anche in opere di notevole rilievo. Dante Alighieri, nel XIII canto del Paradiso della sua Divina Commedia, dice che "vegna oramai che 'l gran carro converta" a indicare un punto nel cielo che, ruotando attorno al polo, segna il tempo che passa.
Giacomo Leopardi cita l'Orsa in "Le ricordanze" del 1829, come simbolo dei ricordi giovanili: "Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea tornare ancora per uso a contemplarvi sul paterno giardino".
Giovanni Pascoli fa riferimento all'Orsa, con connotazione malinconica, in Veglio: "Veglio. mi fissa di laggù coi tondi occhi, tutta la notte, la Grande Orsa: se mi si svella, se mi si sprofondi l'essere, tutto l'essere, in quel mare d'astri, in quel cupo vortice di mondi".
Osservazione
Facilissima da trovare anche perché è una delle più note al grande pubblico, che la riconosce come il 'Grande Carro' (facendo riferimento soltanto a sette delle sue stelle, le più riconoscibili) oppure, come dicono in Inghilterra, il 'Grande Mestolo'.
Con i suoi 1280 gradi quadrati, l'Orsa Maggiore occupa gran parte della zona circumpolare, risultando sempre visibile verso Nord alle latitudini italiane. La relativa vicinanza delle stelle più brillanti del Carro indicano che la forma della costellazione stessa può cambiare nel giro di centomila anni, quindi gli uomini di Neanderthal non vedevano il Carro come lo vediamo ora e tra centomila anni la sua forma sarà ancora cambiata.
Il periodo migliore per l'osservazione, nonostante sia sempre visibile, è la primavera, quando la costellazione passa allo zenit alle nostre latitudini. Di fronte all'Orsa Maggiore, dalla parte diametralmente opposta rispetto alla Stella Polare, è sempre rintracciabile la costellazione di Cassiopea, dalla caratteristica forma a W. Ne segue che, trovandosi l'una di fronte all'altra con al centro la Polaris, quando una costellazione è bassa l'altra è alta. Se vedete Cassiopea in alto, quindi, lasciate stare l'osservazione dell'Orsa Maggiore.
I corpi celesti
I corpi celesti famosi della costellazione dell'Orsa Maggiore sono davvero tanti, a partire dalle sette stelle che compongono il Grande Carro fino ad arrivare a ben sette oggetti del catalogo di Messier: sei galassie ed una nebulosa. Ci sono ben 125 stelle di magnitudine superiore alla sesta.
Le stelle sono tutte dotate di un nome proprio: Dubhe è la stella alpha e rappresenta il dorso dell'Orsa, Merak è la beta e rappresenta i fianchi. Alpha e Beta sono chiamati 'Puntatori', dal momento che prolungando verso Nord la linea che passa per le due stelle si giunge alla Polaris.
Gamma è chiamata Phecda e rappresenta la coscia, Delta si chiama Megrez ed è la 'radice della coda'. La coda è formata dalla stella epsilon, Alioth, dalla stella zeta, Mizar (accoppiata con Alcor), e dalla stella eta, Alkaid o Benetnasch.
L'Orsa Maggiore è una delle pochissime costellazioni le cui stelle sono in effetti legate da fattori che non siano soltanto prospettici: almeno cinque delle sette stelle principali, più una dozzina delle altre, formano un ammasso aperto molto largo: le stelle si muovono tutte nella stessa direzione e probabilmente sono nate da una stessa nebulosa. Nel 1958, Harris indicò 157 stelle che viaggiano tutte nello stesso verso alla velocità di 15 chilometri al secondo, ad una distanza di circa 70-80 anni luce dalla Terra in uno spazio ellissoidale di 30 per 18 anni luce. Allo stesso ammasso dovrebbero appartenere anche Sirio, Beta Lyrae e Alfa Corona Borealis, insieme ad un altro centinaio di stelle compreso, forse, il nostro Sole.
Gli oggetti di Messier invece sono dati da una doppia (M40), cinque galassie (M81, M82, M101, M108 ed M109) e dalla nebulosa del Gufo (M97).Da notare è il moto di Alkaid e Dubhe opposto a quello delle altre cinque stelle maggiori: queste due sono in allontanamento a dispetto dell'avvicinamento delle altre cinque. Alkaid, tra l'altro, è anche la più lontana. La stella delta, Megrez, è la più debole del gruppo ed è posta al 'raccordo' tra mestolo e manico.
E' stato scoperto un arco molto debole e quasi perfettamente circolare centrato sul manico del Grande Carro ed esteso per 30° di cielo, attraverso una emissione in ultravioletto. Si tratta di un oggetto a oggi unico presentato a giugno 2020 al 236° meeting AAS e che consiste di un gas interstellare energetico e compresso che indica uno shock a partire da una esplosione di supernova verificatasi 60° sopra il piano della Galassia. Distanza e età dell'esplosione sono incerte ma si stima una epoca superiore a 100 mila anni fa e una distanza di 600 anni luce. L'intero cerchio copre circa 2700 gradi quadrati di cielo e potrebbe aver ripulito il cielo da gas e polvere in una delle finestre che vengono utilizzate per lo studio delle regioni esterne alla Galassia.
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